29 Dicembre 2020

Fior di Noppolo e ribollita alla versiliese

Trovare il connubio gastronomico adatto a un’American Ipa è una di quelle operazioni dal risvolto duplice. Da un lato insidioso, perché – con la sua voluta e sottolineata amaricatura – espone al rischio di possibili stridori, nell’incontro, ad esempio con tendenze gustative, nel piatto, di matrice sapida o acida. D’altro canto, e in parte proprio per queste complicazioni di cui si è appena detto, la sfida è invitante: trovare la chiave giusta per la soluzione di un rebus non facile dà ancor più soddisfazione. E quindi, anche alla luce di una simile premessa (oltre al fatto si tratta di una delle nostre birre stagionali, perciò doverosamente sotto i riflettori), non era possibile schivare la prova alla quale ci accingiamo: cimentarsi con un abbinamento che abbia per protagonista la Fior di Noppolo: la nostra harvest ovvero una ricetta che prevede l’impiego di luppolo (appunto noppolo nel gergo versiliese) in fiori freschi di raccolta, quindi capaci di far risaltare in sommo grado il proprio potenziale aromatico.

L’edizione 2020 – ambrata nel colore, su quota 6 nella gradazione – offre, tra altri, profumi eminenti di frutta (papaya e mango) e agrumi (arancia) poggianti su un bordone di biscotto; mentre al palato si impernia su un bilanciamento tra caramellature iniziali e un finale erbaceo di lunga persistenza. Si tratta insomma di un sorso equilibrato: il che aiuta, è chiaro; ma la questione della dominante bitter rimane.

Come approcciarla? La teoria degli abbinamenti offre una serie di chiavi; nel caso di specie, ci affidiamo a tre in particolare: la sovrapposizione attenuativa tra due amaricature; il ruolo, parimenti attenuativo, di una proporzionata materia grassa e carboidratica; la rinuncia, nel boccone, in coerenza con quanto accennato all’inizio, di connotati eccessivamente pronunciati di sapidità e acidità.

La ricetta sulla quale puntiamo è un classico – di spicco, tra l’altro, nei mesi freddi dell’anno e in particolare attorno a Natale – per la gastronomia della Toscana tirrenica: la zuppa di cavolo nero e fagioli. Declinata, zona per zona, in numerose varianti, tra le quali la lucchese e la versiliese: quest’ultima attestata anche come una tra le interpretazioni, esse stesse molteplici, della ribollita. I cromosomi costitutivi sono semplici: oltre ovviamente ai fagioli (cannellini, borlotti o di varietà locala) e al cavolo nero, ne sono protagonisti pane raffermo, patate, ortaggi (carote, sedano, cipolla, aglio, salvia, rosmarino…), olio extravergine d’oliva. Un tesoro della cucina povera; il cui assaggio (se chi cucina sa essere prudente con le spolverate di pepe e sale) rivela l’armonia tra la sostanziosità amidacea e lipidica del trittico patate-pane-olio (da un lato) e (dall’altro), l’amaricatura del cavolo: ambedue caratteristiche capaci, all’unisono, di ammansire la chiusura, a sua volta amaricante, della birra. Mentre quest’ultima, con la sua bollicina e la sua dorsale etilica, lavorerà ai fianchi la ponderosa massa di carboidrati e lipidi della zuppa. Dal campo alla tavola, uno sposalizio accattivante: nozze contadine, nozze sopraffine…