10 Dicembre 2020

Buccellato & Birrasanta

Da non confondere con l’omonimo ciambellone siciliano (a base di pasta frolla e con un ripieno di fichi secchi, uva passa, mandorle, scorze d’arancia più altri ingredienti ancora, in funzione delle declinazioni zonali), il buccellato è il fiore all’occhiello della pasticceria lucchese: e, sebbene consumato nel corso di tutta la stagione più fredda, è associato in particolare alle festività natalizie e di fine anno.

L’etimologia del nome rimanda al latino, in specie alla voce buccella ovvero boccone: da cui traggono origine sia il significato traslato di galletta (distribuita, pare, ai militari durante la colonizzazione romana; e poi abitualmente consumata presso le classi meno abbienti, in questo angolo di Toscana); sia, successivamente, per derivazione, il termine buccellatum, cioè una pagnotta assemblata saldando più pezzi singoli insieme e formando una corona. Albori, questi, dai quali discende una delle versioni attuali della ricetta tramandata a Lucca, quella a ciambella (anch’essa, come all’ombra dell’Etna); mentre l’altra, più essenziale, ha la sagoma di uno sfilatino.

La composizione? Semplice, in ogni caso: farina di frumento, zucchero, uova, latte, semi di anice più le noci, di rigore se si è sotto il 25 dicembre. Insomma, un dolce frugale ma ricco di gusto: e che perciò chiede l’abbinamento con una birra di pari intensità sensoriale; un morso dotato di consistenza che tende a farsi tenace, nel perdere umidità: e alla quale, quindi, giova l’incontro con una sorsata anche densa; un dessert fisiologicamente provvisto (pur con discrezione) di materia grassa: per gestire la quale sono benvenute, nel calice, prerogative ad esempio di acidità e alcolicità; una masticazione, quella del buccellato, che produce rilasci aromatici ben orientati (tostature, speziature, frutta in guscio e disidratata), per valorizzare i quali l’operazione più sensata è associarli a una bevuta che ne riprenda i tratti fondamentali.

Ebbene, combinando i requisiti che abbiamo fin qui elencato, tracciamo un ritratto organolettico al quale può ben corrispondere il profilo della Birrasanta, il nostro Barleywine dal caldo colore bruno, affinato in botticelle (da Vinsanto, va da sé), i cui 15 gradi alcolici rappresentano la punta di un iceberg organolettico nel quale si fondono impressioni di infornamento (calotta di panettone), note liquoroso-ossidative (Sherry, passito) e da aceto balsamico.

Recita un noto proverbio della città del Volto Santo: Chi viene a Lucca e non mangia il buccellato, è come se non ci fosse stato; aggiungiamo che se lo assaggi con la Birrasanta, finisce che ne bevi tanta