Segunda-feira de Lisboa: che nome d’incanto! Qui da noi è lunedì soltanto…
Così scrive Franco Battiato nel brano intitolato appunto Segunda-feira (uno dei dieci raccolti nell’album L’imboscata, pubblicato ormai nel 1986). E d’altra parte, come negare la straordinaria magia di una lingua così ritmata e insieme fluida come il portoghese? E infatti, sentite quanto sensuale e curvilinea suoni anche la parola feijoada; che in realtà ne traduce, più o meno letteralmente, una italiana dalla fattura decisamente meno elegante: fagiolata. Eppure – allo stringere del nodo – di questo si tratta: un ricco stufato di legumi scuri e carni varie. Si tratta di una tra le ricette più tipiche e conosciute della cucina brasiliana; e la sua preparazione consta di alcune precise fasi di esecuzione.
La prima è rappresentata dalla cottura di uno spezzatino di manzo, insieme a salsicce e lonza suine, in un ammollo di fagioli neri e acqua, per novanta minuti circa dentro a una casseruola.
La seconda fase prevede di soffriggere, in padella con olio d’oliva, una miscela di ortaggi e spezie (aglio, cipolla, peperoncini verdi), irrobustendo poi con della pancetta e della salsiccia di maiale (entrambe affumicate), nonché con dei pomodorini e un poco di brodo di cottura degli stessi fagioli.
Terza fase: versare il contenuto della padella di cui sopra in quello della casseruola da cui si è partiti, unendoli e amalgamandoli.
Quarta a ultima fase: aggiungere al tutto anche delle costine di maiale e dell’acqua, regolare con una spruzzata di sale e pepe, quindi tenere sul fornello (a fuoco lento) fino a quando tutte le polpe risulteranno morbide e il sugo omogeneo. In tavola porteremo così un boccone dotato di forte densità sensoriale; tenero al morso ma ben dotato in proteine e grassi; caratterizzato da un taglio gustativo rotondo, certo, eppure non sprovvisto di guizzi aciduli, sapidi e piccanti.
Quale, allora, il bicchiere adatto all’abbinamento con un compagno di mensa tanto aitante nella personalità? Di certo, in questa sfida, non sfigurerà un vino rosso evoluto e levigato (guai esagerare coi tannini giovani); ma altrettanto certamente, non fosse che per la parentela organolettica, sarà interessante mettere alla prova il temperamento di una birra che, col mondo di Bacco, costituisce quasi un anello di congiunzione.
Ma sì, una IGA: una Italian Grape Ale; e in particolare una come Il Tralcio, che noi, al Forte, produciamo accorpando, a uno di cereali, un mosto di uve a bacca nera; e procedendo a due fermentazioni, la seconda delle quali in bottiglia, secondo il metodo classico, con tanto di remuage sugli appositi cavalletti (le pupitres) e sboccatura del lievito depositatosi sulle pareti interne del vetro. Un’etichetta di pregio: che esce periodicamente, in edizioni contrassegnate dall’anno di vendemmia degli acini impiegati; e che vede lanciata, giusto in questi giorni, l’annualità 2021. Il suo colore – una tonalità corallo, brillante e calda – prelude a una sorsata essa stessa termica, ma soprattutto vellutata, esente da ruvidità (ciò che serve per ammansire le esuberanze della pietanza); una bevuta la cui ovvia bollicina, in alleanza con l’appena citato slancio etilico, assimileranno con disinvoltura le densità lipidiche del piatto sudamericano; mentre i profumi elargiti dal calice (ginepro e noce moscata, ad esempio) tesseranno un intreccio di richiami con quelli provenienti dalla casseruola, in primis per mano del peperoncino.
Fejoada e Tralcio: una samba trascinante!