25 Ottobre 2022

Birra: si fa presto a dire “luppolata”…

Ma quante cose può significare in realtà? Ve lo spiega la nostra “Fior di Noppolo”, appena uscita!

“Vorrei una birra luppolata, grazie”.

Quante volte chi legge ha avuto questa domanda a fior di labbra, nell’avvicinarsi a una colonnina per il servizio alla spina o alla vetrina di un frigo, volendo farsi assistere nella scelta dal titolare del pub? E quante volte – capovolgendo la prospettiva – il banconista di un locale specializzato se l’è sentita rivolgere, quella domanda? Tante volte, scommettiamo.

Ebbene, dietro a una richiesta del genere c’è (o può esserci) molta meno precisione d’intenti e molta più indeterminatezza di quanto si possa immaginare. Eh, già, perché il luppolo presenta talmente tanti modi di essere diversi, possiede talmente tante qualità sensoriali diverse e, infine, può essere utilizzato in talmente tanti modi diversi, che parlare di una birra “luppolata” può voler dire non solo una cosa, ma tante cose: tante davvero.

Facendola semplice (non è questa la sede per un “trattatello” sulle tecniche di produzione), focalizziamo almeno cinque punti.

Primo: il luppolo (una pianta, della quale, in una birra, si utilizzano i fiori) non è uno solo, ma decine di varietà differenti; quelle “domestiche”, coltivate per il brassaggio, sono oltre duecento, ognuna con sue prerogative.

Secondo punto: quali prerogative? I fiori, detti “coni”, possono conferire amaro e aroma; ecco, ogni varietà di luppolo ha un suo specifico potenziale amaricante e un suo specifico potenziale aromatico.

Terzo punto: nel potenziale aromatico di una specie di luppolo a variare è non solo l’intensità, ma anche le “tematiche olfattive” tipiche di quella specie; così le cultivar tedesche sono più erbacee e floreali, le britanniche terrose e fogliacee, le statunitensi agrumate e resinose.

Quarto punto: ogni varietà può essere utilizzata secondo tecniche d’esercizio differenti: se il luppolo è conferito nel mosto durante la fase vigorosa della bollitura, rilascia più amaro e meno aroma; se alla fine della bollitura, il contrario; se dopo la bollitura (in fermentazione o in maturazione, a birra finita), rilascia quasi esclusivamente aroma e solo irrisorie tracce d’amaro.

Quinto punto: il luppolo è disponibile in vari formati; ad esempio i fiori possono essere essiccati, polverizzati e ridotti in pellet; oppure possono essere utilizzati interi, a loro volta essiccati oppure, invece, freschi; e in questi ultimi gli aromi sono (facile intuirlo) più fragranti e intensi.

È giusto il caso della “Fior di Noppolo”, la nostra “Harvest Beer”: ovvero “di raccolto”. Laddove, per “raccolto”, s’intende, appunto, quello del luppolo; prelevato dai filari e utilizzato proprio così, in fiore fresco: al massimo di una settimana (e detto “fresh”), se non addirittura di giornata (ancora umido, dunque definito “wet”). E “Noppolo” è il termine con cui i nonni, nel dialetto versiliese, chiamavano proprio la pianta del luppolo. Questa birra – per definizione stagionale e prodotta con luppoli statunitensi (è un’American IPA) – presenta un colore ambrato; profumi che ricordano il biscotto, la frutta esotica (papaya, mango) e gli agrumi (arancia); un gusto bilanciatamente dolceamaro, grazie anche ai 6 gradi alcolici.

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